FESTA DELLA VITA CONSACRATA – 2 FEBBRAIO 2024

     

 

OMELIA DI DON IVAN SALVADORI
VICARIO GENERALE

 

 

Festa della Presentazione del Signore

Como, Basilica Cattedrale

venerdì 2 febbraio 2024[1]

 

«Lumen ad revelationem gentium»

 

  1. Al centro del vangelo c’è un fatto semplice e al tempo stesso grande: Gesù è portato al tempio di Gerusalemme per essere presentato al Signore. Egli è un bambino come tanti, come tutti; eppure, è unico: è l’Unigenito venuto per tutti, è la luce del mondo venuta per vincere le tenebre e rallegrare tutti (cf Gv 1,9).

Ce lo hanno ricordato anche le parole con le quali il vecchio Simeone accoglie Gesù tra le braccia e benedice Dio: «i miei occhi hanno visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,30-32). Al centro di questa festa c’è dunque il mistero di Dio che, nel suo Figlio, viene verso di noi per illuminarci con la sua luce. La salvezza si manifesta sotto forma di luce e questa luce, che è ultimamente una persona, deve estendersi a tutti i popoli.

 

  1. Per questo, fin dal V secolo, la Chiesa ha introdotto, nella liturgia di questa festa, l’uso suggestivo delle candele. Queste candele ci ricordano che anche noi, il giorno del nostro battesimo, siamo stati visitati dalla luce – ci siamo rivestiti della luce (cf Is 60,1) – che è Cristo e in lui siamo diventati tempio della Trinità. In questa liturgia vogliamo pertanto proclamare che solo Cristo può illuminare il mistero della vita, indicando a noi anche la direzione da percorrere (cf Gv 12,46). Se lui non viene a visitarci con la sua luce, se lui non cammina con noi aprendo la strada, anche questo tempio di pietre, costruito per adorare Dio, resta vuoto. E lo stesso si può dire per il tempio del nostro corpo.

 

  1. Strettamente legato a quello della luce affiora, nel vangelo, anche un secondo tema: quello dell’obbedienza, rappresentato da Maria e Giuseppe. Proprio perché la luce della fede illumina la vita, essa non è la luce di un’idea, ma si traduce anche in norme e precetti. Credere – lasciarsi rivestire di luce – significa inserirsi sempre più profondamente nell’obbedienza di Cristo. Così, Maria e Giuseppe ci insegnano ad obbedire alla Legge e a tutte le sue prescrizioni. L’evangelista fonde insieme due prescrizioni che, nella legislazione dei tempi di Gesù, erano, in realtà, distinte.

La prima prevedeva che la giovane madre, considerata impura dopo il parto, si recasse a Gerusalemme quaranta giorni dopo la nascita del figlio per ottenere, attraverso l’offerta di un animale, la purificazione dal suo sangue (cf Lv 12,1-8).

La seconda prescrizione stabiliva, invece, il riscatto del primogenito (cf Es 13,1-3). Il popolo di Israele, come sappiamo, era stato schiavo in Egitto, divenendo, in un certo senso, proprietà del faraone, ma Dio era intervenuto e lo aveva liberato. Ora, dunque, Israele non apparteneva più a sé stesso, né al faraone, ma era proprietà esclusiva di Dio. Era questa la ragione per cui il figlio primogenito doveva essere riscattato: si voleva mettere in evidenza che egli apparteneva a Dio, il quale, a sua volta, lo affidava alla custodia dei genitori.

 

  1. Questo duplice mistero di luce e di obbedienza caratterizza da sempre la Vita Consacrata che – come ci ha ricordato il Vaticano II – abbellisce la Chiesa con una molteplice varietà di doni, così che essa appaia come una sposa adorna per il suo sposo (cf Ap 21,2)[2].

In effetti, attraverso la professione dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza, o in virtù di una speciale promessa, i consacrati e le consacrate testimoniano al mondo il primato di Dio, il fatto che, quando Dio è al centro, tutto il resto acquista nuova luce e nuovo significato. Poiché essi hanno conosciuto la luce del Verbo incarnato[3], al pari del vecchio Simeone, ora dicono a tutti che è bello stare con il Signore, dedicarsi a lui, consacrare a lui, in modo esclusivo, tutta la vita[4].

 

  1. Oggi non possiamo nasconderci che sono in molti a chiedersi come è possibile che, in un mondo secolarizzato, la Vita Consacrata sia ancora un punto di riferimento. Non è forse vero che il mondo si sente a suo agio più con le tenebre che con la luce (cf Gv 3,19)? Come può dunque, la Vita Consacrata, custodire ancora la letizia del vecchio Simeone e la perseveranza della profetessa Anna? Senza volere essere esaustivo, vorrei suggerirvi tre indicazioni. Corrispondo a tre sfide particolarmente urgenti, che vorrei però rileggere come opportunità.

 

  1. Prima. Non c’è luce senza santità. Se la Vita Consacrata vuole continuare ad essere un raggio di quella luce che ha illuminato le genti, deve riappropriarsi anzitutto di quella tensione per la radicalità evangelica che ne ha ispirato le origini. Se oggi è a tutti chiaro che la vita consacrata non indica uno “stato di perfezione” – dal momento che il battesimo conferisce a tutti la medesima dignità –, è però altrettanto vero che la sua forza profetica va di pari passo con la sua coerenza con la radicalità evangelica. In questo senso possiamo dire che non c’è luce senza santità. Solo la santità attrae perché in una vita santa rifulge qualcosa di soprannaturale, la bellezza stessa della luce divina.

La santità si nutre di silenzio, del raccoglimento della preghiera, si accresce nel contatto vivo e interiore con la Parola di Dio e i sacramenti della Chiesa, ha bisogno di uomini e donne adulti, capaci di custodire la castità delle orecchie e delle labbra, prima ancora che quella del cuore. Per questo la santità ha la sua casa all’interno di comunità mature, nelle quali i modi e i tratti sono un prolungamento di quelli di Cristo e le parole sono a servizio dell’edificazione reciproca. In breve: «non si tratta solo di conoscere qualcosa di Dio, ma di averlo in sé»[5].

 

  1. Seconda. Non c’è luce senza missione. La luce divina, che vi ha illuminato a nuovo titolo il giorno della vostra professione religiosa, non può essere trattenuta. Il vecchio Simeone – mosso dallo Spirito (cf Lc 2,27) – aveva compreso che la luce di Cristo è destinata a tutte le genti. Questa luce, che pure aveva incontrato nel Tempio ed era stata la sua gioia, non poteva essere imprigionata.

Per questo i vostri fondatori e le vostre fondatrici non hanno avuto paura delle “tenebre” e spesso, con la sola forza della fede, le hanno attraversate per portare luce. All’occorrenza sono divenuti insegnanti, medici, infermieri. Hanno soccorso gli orfani, i forestieri, le vedove. In una parola: si sono fatti tutto a tutti, pur di guadagnare ad ogni costo qualcuno (cf 1Cor 9,22). Sapevano, tuttavia, che l’uomo non vive di solo pane (cf Mt 4,4) e che la missione della Chiesa sarà sempre, nella sua essenza, di ordine spirituale. La Chiesa – sostenuta dalla Vita Consacrata – ha dato agli uomini, in tutti i secoli, forze culturali e spirituali, ha donato loro un senso che li ha resi ricchi e liberi[6].

 

  1. Da ultimo. Non c’è luce senza speranza. È sotto gli occhi di tutti che oggi, soprattutto nei paesi di antica tradizione cristiana, la Vita Consacrata attraversa un periodo difficile. La crisi delle vocazioni, l’accorpamento delle provincie religiose, per non parlare della chiusura di molti Istituti e della secolarizzazione diffusa, costituiscono oggi una grande sfida per la Vita Consacrata. Di fronte a questi macrofenomeni, che non possiamo ignorare, che cosa possiamo dire?

In realtà, la risposta a queste domande l’ha formulata la fede stessa, a partire dal suo interno. Questa risposta dice che la Chiesa è «forza nella debolezza». E, proprio perché le tenebre del mondo oggi sono divenute fitte, anche una piccola luce è pur sempre, per qualcuno, una ragione di speranza. Peccheremmo contro lo Spirito se non lo credessimo più capace di parlare e di operare. Anche nel cuore dei giovani. Forse il Signore sta semplicemente chiedendo alla Chiesa, in questo tempo, una purificazione necessaria: di tornare alla bellezza del suo primo amore, di spogliarsi di tanti fardelli che nel tempo l’hanno appesantita. Gli Istituti e le opere possono perfino venire meno. Non verrà però mai meno, nella Chiesa, la presenza della Vita Consacrata, cioè di uomini e donne che, mossi dallo Spirito (cf Lc 2,27), troveranno il coraggio di avanzare nel mondo poveri di tutto, ma ricchi di Dio.

 

  1. Ci aiuti il Signore ad accogliere sempre e di nuovo la luce della fede e a tradurla nelle opere per poter essere presentati a lui pienamente rinnovati nello spirito[7].

 

 

[1] Letture della liturgia: Ml 3,1-4; Sal 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40 (forma breve Lc 2,22-32). Cf A. Bergamini, Cristo festa della Chiesa. L’Anno liturgico. Storia, teologia, spiritualità, pastorale dell’anno liturgico, Cinisello Balsamo 1991, 299-303. Per un commento esegetico e teologico al vangelo cf G. Rossé, Vangelo secondo Luca, Roma 2003, 32-35; J. Ratzinger, L’infanzia di Gesù, Milano – Città del Vaticano 2012, 94-103.

[2] Cf Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto «Perfectae Caritatis» (1965), 1, in EV/1, 703.

[3] Cf Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale «Vita Consecrata» (1996), 15.

[4] Ibidem.

[5] Gregorio di Nissa, Le beatitudini, 6, cit. in Benedetto XVI, Catechesi sui Padri della Chiesa. Da Clemente Romano a Gregorio, Città del Vaticano – Roma 2008, 87.

[6] Cf J. Ratzinger, «La Chiesa come luogo di servizio alla fede», in Id., Opera Omnia, VIII/1, Chiesa: segno tra i popoli. Scritti di ecclesiologia e di ecumenismo, Città del Vaticano, 221, 115.

[7] Cf Preghiera di Colletta.